I vasi rapinati tornano al Museo di Melfi, muore Pasquale Camera, perquisizioni e intercettazioni portano ad una sensazionale quanto inaspettata scoperta.
Tornato a Casal di Principe, la sorveglianza a Pasquale Camera venne intensificata, contestualmente anche l'utenza telefonica di Coppola venne inserita nella lista dei bersagli telefonici da monitorare. Ma come spesso accade nelle investigazioni, il passo in avanti fatto a Monaco di Baviera non condusse assolutamente a nulla di proficuo come invece si pensò in un primo momento.
Infatti, nelle poche occasioni in cui utilizzò il telefono, Camera non offrì alcuno spunto interessante agli inquirenti. Così il Natale del 1994 non portò alcun progresso. Poi, quando nel 1995, dopo una serie di contenziosi legali, i vasi di Melfi vennero restituiti al governo italiano e ricollocati presso il Castello-museo di Melfi con una cerimonia alla quale, insieme alle altre autorità, partecipò anche il Colonnello Conforti.
Luigi Maschito, la guardia giurata immobilizzata il giorno della rapina di Melfi, divenne in breve una piccola celebrità locale. Nel frattempo, le intercettazioni telefoniche a Casal di Principe proseguivano senza alcuna novità. Ancora una volta l'inchiesta sembrava rientrata in fase di stallo. Dopo la primavera arrivò l'estate del 1995 e, proprio quando buona parte degli uomini del nucleo patrimonio artistico erano in licenza per le ferie, il destino, inaspettatamente, apparve.
L’incidente stradale e la morte di Camera
Pasquale Camera era un uomo di grande corporatura, con un peso di poco inferiore ai 180 chilogrammi, amava mangiare e bere.
Il 31 agosto 1995, un giovedì, dopo aver pranzato in un ristorante di S. Maria di Capua Vetere, una cittadina a nord di Napoli vicino Casal di Principe, Camera si mise a bordo della sua autovettura e prese l'autostrada verso Roma. Non arriverà mai. Tra le 14.30 e le 15.00 di quello stesso giorno, Pasquale Camera perse il controllo della propria autovettura, una Renault 21 beige, nei pressi dell'uscita autostradale di Cassino, andando a schiantarsi contro il guardrail. Inutile l'intervento dei mezzi di soccorso, Camera muore sul colpo.
Nel vano portaoggetti dell'autovettura, vennero rinvenute diverse fotografie di reperti archeologici. Immediatamente la pattuglia intervenuta sul posto informò il proprio comando di tale scoperta e subito dopo, il comando centrale del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri ne venne a conoscenza.
Anche nella sala intercettazioni della Procura di Santa Maria di Capua Vetere iniziò a esserci un certo fermento. Gli operatori alle intercettazioni, riscontrarono un certo traffico telefonico tra le utenze telefoniche poste sotto controllo, detti in gergo “bersagli”. La notizia della morte di Camera, portò ad un cospicuo incremento del comunicazioni telefoniche, messaggi in codice del tipo “Il Capitano è morto” e altre cose del genere divennero ben presto all’ordine del giorno. Nonostante il tentativo, da parte degli intercettati, di rendere difficile l’identificazione degli argomenti, utilizzando gerghi e soprannomi, gli inquirenti ben sapevano di quale capitano si trattasse.
Pasquale Camera era stato in passato, capitano della Guardia di Finanza al servizio doganale.
La perquisizione
Il colonnello Conforti intravide nell'accaduto, una nuova opportunità per dare impulso alle indagini da tempo ormai in fase stagnante. In breve, venne contattato il magistrato di turno e ottenuto un mandato di perquisizione per l'appartamento di Camera, ubicato nel quartiere di San Lorenzo, a nord di Roma.
Intorno alle 23.00, e dopo una serie di inconvenienti e disguidi vari, gli uomini del Colonnello Conforti, erano pronti a perquisire l’appartamento.
L'appartamento di Camera era situato tra Piazza Bologna e l'università “La Sapienza”, la più antica università di Roma. Una costruzione abbastanza nuova e molto costosa, sia per la particolare ubicazione che questa aveva, che per la vasta estensione. Entrati nell'appartamento, gli inquirenti videro un completo stato di disordine e confusione. Tra capi di biancheria sporca e i resti di cibo andati a male, i carabinieri trovarono centinaia di fotografie, molte delle quali istantanee Polaroid, insieme a pagine e pagine di documentazione. Rinvennero inoltre decine di reperti, alcuni genuini altri falsi.
È importante precisare che gli uomini della sezione Tutela patrimonio artistico dell’Arma, partecipavano periodicamente a lezioni di pittura, storia, scultura e disegno. I corsi, organizzati dal Ministero della Cultura e dal Provveditorato, erano finalizzati ad arricchire il bagaglio culturale e quindi operativo, consentendo agli operatori di affinare le proprie capacità di giudizio nei confronti dei manufatti e soprattutto dei falsi che avrebbero potuto trovarsi tra le mani durante le attività d’istituto. Gli investigatori che procedettero alla perquisizione erano pertanto competenti in materia e in grado di distinguere un’opera d’arte da un volgare falso.
La statua dell’Artemide marciante
Durante la perquisizione all’interno nell’appartamento di Camera vennero rinvenute alcune eccezionali fotografie strettamente correlate con quelle trovate poco tempo prima a bordo dell’auto. Al momento dell’incidente, infatti, nel vano porta oggetti della Renault 21 di Pasquale Camera era stata rinvenuta anche la fotografia ritraente una statua sconosciuta. Alta circa quattro metri e interamente realizzata in marmo bianco, ad una immediata analisi venne stabilito che questa statua raffigurava la romana dea Artemide con i capelli intrecciati sulla fronte che le scendevano lungo un lato del collo e con una tunica lunga fino ai sandali. All’altezza del petto, una cintura da caccia cingeva i seni della dea. I lineamenti del viso, lasciavano trasparire un lieve sorriso, mentre lo sguardo era rivolto in avanti. Le braccia della statua erano tagliate all’altezza dei gomiti, ma per il resto era un pezzo assolutamente integro.
Gli esperti sapevano che quella statua era la raffigurazione di Artemide per un motivo molto semplice, era la classica immagine della dea ed almeno altre tre versioni, quasi identiche, erano già note.
Precisamente, a Napoli, Firenze e Venezia, tutte nei rispettivi musei risalenti al I secolo d.C.
Si sapeva inoltre che le statue erano delle raffigurazioni di una statua greca ormai perduta, quest’ultima presumibilmente databile tra il VI e il V secolo a.C.
Dal momento che nessuna delle statue dei tre musei mancava , questo nuovo reperto venne accolto come una grande scoperta, addirittura si ipotizzò che fosse l’originale statua greca.
Chi può dire cosa venne effettivamente trafugato durante gli scavi illegali di quello che appariva chiaramente essere un importante sito archeologico clandestino? Così il recupero di questa nuova statua di Artemide rappresentava un ulteriore importante obiettivo della Sezione.
Nella fotografia rinvenuta a bordo dell’auto, si notavano sullo sfondo alcuni ganci tipici delle macellerie, probabilmente la statua era stata depositata in qualche macello.
Durante la perquisizione dell'appartamento, i Carabinieri rinvennero un’altra fotografia raffigurante la stessa statua di Artemide, ma con uno sfondo diverso, meno appariscente. Evidentemente, questa seconda foto era più adatta ad essere inserita in una sorta di “campionario di vendita”, rendendo fin troppo chiari gli intenti dei trafficanti.
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